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lunedì 14 novembre 2011

Roman e il suo cucciolo, uno spettacolo moderno e realista

Venerdì scorso sono finalmente tornata a teatro dopo tempo immemore e lo spettacolo è stato davvero degno di un grande rientro.


Patrocinato dalla Sezione Italiana di Amnesty International, "Roman e il suo cucciolo" è una piece teatrale ispirata al testo "Cuba & His Teddy Bear" di Reinaldo Povod riadattata nella periferia di Roma, un una comunità di cittadini stranieri e italiani.
In "Roman e il suo cucciolo", le esistenze raccontate in un microcosmo di periferia romana sono viste con uno sguardo definito, nelle note di regia, "neutrale, non ideologico, fuori dagli schemi del razzismo o della solidarietà di maniera". Ma è uno sguardo che, senza intervenire nella disputa contemporanea tra gli assoluti del "buonismo" e del "cattivismo" nei confronti dei cittadini stranieri, prende posizione, sta dalla parte di Cucciolo e di Lourdes, un ragazzo e una ragazza che annaspano nella consapevolezza di non essere ascoltati, né capiti e che cercano una strada fatta di dignità e rispetto nel paese in cui vivono da tempo: l'Italia.
Riporto di seguito una intervista molto interessante fatta al regista e attore principale della piece:

Come ha trasposto in Italia questa storia di cubani che vivono nella periferia di New York?
“Con l’autore dell’adattamento, Edoardo Erba, abbiamo trovato forti similitudini tra quella comunità insediata in una città straniera e l’Italia di oggi. Abbiamo trasformato i cubani in rumeni e abbiamo ambientato la vicenda nel quartiere Casilino, nella periferia violenta di Roma. Mi interessava rendere più coinvolgente lo spettacolo per il pubblico e usare accenti, suoni, modi di parlare diffusi nelle strade del nostro Paese”.

Si parla di vite emarginate…
“Ci sono rumeni ma anche pugliesi, romani, abruzzesi. Sono tutti sulla stessa barca. Siamo in una sorta di garage abbandonato dove Roman e il figlio – il suo cucciolo – vivono di espedienti. L’uomo è uno spacciatore di eroina. La moglie lo ha abbandonato. Vorrebbe fare uscire il figlio dal ghetto ma non ha i mezzi culturali, intellettuali per farlo; l’unico sistema che conosce è la violenza, la sopraffazione, perché così è stato cresciuto. E’ uno spettacolo che colpisce profondamente il pubblico, come La parola ai giurati, e che è stato apprezzato dalla critica con il premio Ubu come miglior spettacolo. Ci sta dando grandi soddisfazioni”.


Un premio Ubu come miglior attore under 30 lo ha vinto anche il “cucciolo”, Giovanni Anzaldo.
“Sta facendo una ottimo lavoro, come tutti gli altri interpreti, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto, Natalia Lungu, Andrea Paolotti. Il suo è un personaggio toccante: con la giovane prostituta interpretata da Natalia Lungu, un’attrice moldava di madrelingua rumena, è la vittima sacrificale. Ma nel finale inevitabilmente tragico ho voluto dare, da regista, una speranza, lasciare una porta aperta. Lo spettacolo è patrocinato da Amnesty International: volevo non solo coinvolgere ma anche informare teatralmente gli spettatori sul problema dell’immigrazione”.
Lei in teatro per la prima volta recitò con suo padre Vittorio in Affabulazione di Pasolini, la storia di un tortuoso rapporto padre-figlio…“Avevo 18 anni. In quel testo siamo tra la borghesia; c’è un legame irrisolto tra un figlio e un padre che ha una forte crisi mistica. Anche Roman ha un attaccamento selvaggio, rozzo, contadino a una religione che gli dà una parvenza di speranza. Le due opere in qualche modo si incrociano, anche se 26 anni dopo il padre sono io”.
Come attore si sente maturato, diventato “padre”?
“Sono entrato in una fase della vita in cui mi assumo più responsabilità. Sono direttore del Teatro Stabile del Veneto e ho la possibilità di produrre, di scegliere le stagioni, di seguire le mie passioni e i miei gusti”.

Cosa le ha insegnato suo padre?
“Tantissimo. Era la persona più generosa che abbia incontrato: spero di averne ereditato almeno una parte. Come uomo di spettacolo, ne ricordo la straordinaria disciplina, la serietà, il rispetto per il lavoro altrui e l’idea di voler parteggiare per chi ha meno speranza di vittoria. Un’altra indicazione che mi viene naturale seguire”.

La sua passione per Thomas Bernhard? Dell’autore austriaco ha messo in scena La forza dell’abitudine e, di recente, Immanuel Kant.“Non mi passerà mai. Immanuel Kant ha vinto il premio Ubu come migliore novità straniera. Spero di poter completare una trilogia, mettendo in scena un testo che sogno di fare da anni,L’ignorante e il folle”.


Tra teatro o cinema, cosa preferisce?
“Il teatro è sicuramente la mia casa, il luogo dove lavoro con grande libertà. Il cinema spesso mi offre occasioni importanti e vi ho incontrato persone che mi hanno insegnato molto, mio padre, Bolognini, Moretti, Bigas Luna, Vanessa Redgrave, Ozpetek…”.

E la televisione?
“Mi piace poco. Sono quattro anni che non faccio fiction, per scelta. Non trovo interesse per le proposte che mi sono arrivate. Sarebbe un mezzo importante. Peccato che in Italia sia usato così male. O forse è una fortuna per il teatro. Anche in questo anno di crisi e tagli vedo paradossalmente le sale piene. La qualità della televisione è così bassa che chi ha voglia di vedere qualcosa viene spinto uscire di casa e andare a teatro. E pure il cinema, specie quello italiano, sta vivendo un rilancio”.

Lei ha partecipato a una delle pellicole rivelazione della scorsa stagione, Basilicata Coast To Coast.
“E’ stato un divertimento straordinario. Un film nato senza pretese, che si è trasformato in un viaggio tra amici, divertente, con una poesia tutta di campagna propria di Rocco Papaleo, al quale sono molto affezionato”.

Si considera un sex symbol?
“Mah. Non mi sono mai lamentato della possibilità di avere rapporti con le donne. Ho fatto un calendario del quale mi sono plurivergognato per un decennio. Non ho mai sfruttato la mia fisicità in maniera becera, però è chiaro che, avendo un fisico fuori dal comune e una faccia belloccia, a 45 anni mi vengano fatti dei complimenti: essendo vanesio, mi fanno piacere”.

Progetti futuri?
“Porterò in teatro Qualcuno volò sul nido del cuculo. Ci sto già lavorando. Girerò il mio primo film da regista da Roman e il suo cucciolo. Inizierò nel 2012”.

Un sogno nel cassetto?
“Dirigere un’opera lirica. Ci sto pensando, con Massimo Tamagno del Teatro Stabile del Veneto. Non sono un grandissimo esperto, ma mi piacerebbe. E’ una forma d’arte che mi affascina molto perché mi permetterebbe di lavorare – come sto facendo in teatro – su proiezioni e tecnologie avanzate e, poi, sull'utilizzo dei cantanti come attori. Ho scoperto che un mio avo, Florian Leopold Gassman, un austriaco contemporaneo di Mozart, ha scritto varie operine buffe su libretto di Goldoni. Sarebbe interessante iniziare da una di queste, per non rischiare più di tanto. Se non altro, se faccio danni perdono meno soldi che con un’opera di grandi dimensioni”.


di Reinaldo Povod

Alessandro Gassman

con Alessandro Gassman, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Giovanni Anzaldo, Matteo Taranto, Natalia Longu, Andrea Paolotti
scene Gianluca Amodio
costumi Helga H. Williams
musiche originali Pivio&Aldo De Scalzi
light designer Marco Palmieri
sound designer Massimiliano Tettoni
elaborazioni video Marco Schiavoni
regia Alessandro Gassman
adattamento e traduzione Edoardo Erba



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